martedì 28 agosto 2012

BOVARISMI





















Ricordo di aver letto il libro di Gustave Flaubert, "Madame Bovary" nell'estate tra il primo ed il secondo anno delle superiori. Il libro mi piaque a tal punto che volli immediatamente vedere il film di Chabrol con Isabelle Huppert, da li partì un grande passione per l'attrice francese. Il male dell'anima che affligge Emma Bovary diventa ufficialmente una malattia nel 1902, quando Jules de Gaultier pubblica "La philosophie du Bovarysme". Il Bovarismo in parole semplici è quando un soggetto entra in contatto con la letteratura e, a forza di leggere romanzi si identifica con uno dei personaggi e comincia a percepire la propria vita reale come angusta, insufficiente, insoddisfacente, perché diversa da quella che vivono il suo eroe o la sua eroina. Ma, se Emma è il caso più grave di Bovarismo lo stesso Flaubert ci ricorda che non è sola: "La mia povera Bovary soffre e piange a questa stessa ora in venti villaggi della Francia". Anche oggi, siamo circondati da bovaristi, ma da bovaristi di più specie, i bovaristi virtuali, televisivi, quelli della letteratura e quelli della socializzazione. Quest'ultimi però a differenza degli altri si identificano spesso con alcuni personaggi in carne ed ossa ed acquisiscono una fuorviante coscienza di sé ed una distorsione della propria e dell'altrui realtà ed a mio parere sono i bovaristi più pericolosi. Io, più che immedesimarmi nella totalità del personaggio preferisco farlo con un singolo paragrafo, con un incipit, una frase che lo riguarda, potrei definirmi tranquillamente una preoccupante bovarista delle parole.
Amo Madame Bovary e fondamentalmente la penso come Paolo Poli: "…e anche i Promessi Sposi, che noia questi due coglioni che alla fine si sposano! A me piace la Madame Bovary che comincia col matrimonio e finisce con l’arsenico!"


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